domenica 26 settembre 2010

Gli inquilini.

Salivo le scale lentamente, regolando l'affanno, una fitta allo sterno, la mano sinistra poggiata al muro a buccia d'arancia.

Fuori era caldo, il sole delle tre del pomeriggio sembrava bruciarmi la pelle, mentre fumavo poggiato ad un muretto.

Appena rientrato nel palazzo la frescura delle mattonelle e dell'umidità mi rinfrancarono, mi diedero la forza necessaria per affrontare la salita.

Scendere da casa per fumare si rivelava ogni volta più umiliante, passavano gli inquilini e sorridendomi pensavano "povero stronzo, ancora sottomesso ai genitori, incapace di

affermarsi, di fumare in casa, come ogni cristiano".

Io leggevo il loro sorriso e sorridevo a mia volta creando un certo tipo di complicità, il mio sorriso era la resa e l'accettazione della mia degradante situazione.

Speravo che non passasse nessuno comunque, speravo di fumare la mia piccola sigaretta in tranquillità, godendomi quel retrogusto di caffé stantio, magari riparandomi un po' dal sole.

Quel giorno non era passato nessuno, ma ero stato costretto ad alzarmi di continuo per colpa di un insetto che continuava a molestarmi ronzandomi intorno.

L'androne era saturo del ronzio delle televisioni di ogni appartamento, un ronzio che saliva di intensità di pari passo con gli insulti dei programmi delle tre.

Riuscivo a sentire i passi di ogni madre trascinarsi sul pavimento lustro, a sentire il rumore delle faccende che dicevano di odiare, mentre guardando bene amavano più di ogni altra cosa, perchè riempivano quel tempo che le avrebbe altrimenti uccise.

Io salivo le scale lentamente, poggiandomi al muro a buccia d'arancia.

Arrivato al primo piano mi fermai per riprendere fiato e non arrivare a casa col fiatone.

Una porta era leggermente aperta sull'appartamento di nuovi inquilini, conviventi, sui trent'anni.

Una piccola donna lei, i capelli castani e lunghi sulle spalle piccole, il corpo quasi da adolescente, immaturo, o forse leggermente appassito.

Il volto un ovale dall'espressione quasi tragica, come madonna melodrammatica. Gli occhi tristi e insicuri, non si fermavano mai negli occhi altrui, scappavano dopo una visita di cortesia, breve e poco intensa.

Portava sempre gli stessi due vestiti a fiori, che la facevano sembrare una giovane d'altri tempi, che di domenica indossa il vestito nuovo per andare in chiesa.

Mi fermai dunque per riprendere fiato e guardando alla porta semiaperta la vidi passare, guardandomi per un istante.

Rimasi ancora lì, sedendomi su un gradino, evitando di guardare alla sua porta, cercando di sembrare discreto.

Poi la porta si aprì e vidi la sua piccola testa, e un sorriso forzato.

"Ciao" disse lei, chiudendosi leggermente la porta alle spalle. "Buongiorno" risposi, alzandomi e avviandomi verso la successiva rampa di scale, leggermente imbarazzato, di un imbarazzo immotivato.

"Senti," disse lei in fretta, "ti andrebbe di prendere un caffé?".

Io mi fermai, e voltandomi risposi di sì senza pensarci troppo.

Lei sorrise e spalancando la porta mi disse di entrare, cercando di mostrare ospitalità, di mettermi a mio agio.

Il mio imbarazzo era aumentato, ma entrai cercando di dissimularlo.

La casa era vuota e dalla pareti bianche.

Il salone era grande e spazioso, ma senza alcun tipo di arredamento risultava triste, abbandonato.

Solo qualche mobiletto e una vecchia credenza.

In cucina il televisore era acceso e si sentivano dei rumori.

"Fai come fossi a casa tua" disse, mostrandomi la strada.

Arrivammo in cucina. Il marito era seduto e guardava un programma su Canale 5.

Quando entrai rivolse lo sguardo a me e sorrise, senza parlare.

“Siediti.” disse lei,” vuoi il caffé? L’ho appena fatto…”, armeggiando con la moka, le spalle rivolte a noi, il culo evidenziato dal vestito stretto ai fianchi.

La cucina aveva le pareti gialle. L’aria era pesante e sapeva di fumo e alici fritte. Il marito dalle spalle larghe e il busto forte continuava a guardare la tv. Riuscivo a cogliere i suoi sguardi discreti e ripetuti.

“Sì, grazie”, risposi, lei si girò e sorrise.

Il marito accese un’altra sigaretta. Lei mi servì il caffé, sorrisi e presi un sorso. Faceva schifo, e cercai di ingoiare senza mostrare il mio disgusto.

Che cazzo vogliono, cominciai a pensare, perché farmi venire qui?

Poi l’uomo cominciò a guardarmi, in modo insistente, io sorrisi, poi abbassai lo sguardo.

Presi a guardarmi le scarpe, la sigaretta finì in fretta. Ne accesi un’altra.

“Hai dato il caffé al ragazzo?”, disse improvvisamente l’uomo, continuando a fissarmi.

Lei annuì e si sedette, avvicinando la sua sedia alla mia.

L’uomo si alzò e chiuse l’imposta, lasciando la stanza nella penombra.

Il mio imbarazzo iniziale stava diventando timore.

Allora scostai la sedia producendo un rumore stridulo, feci per alzarmi, ma lei poggiò una mano sulla mia gamba. “Aspetta.” Disse.

La guardai, mi sorrise. Io non sorrisi stavolta. Poi guardai il marito, che accese un’altra sigaretta.

“Ti va di scopare con mia moglie?”, disse tranquillo. Sorrise.

Sono pazzi, pensai, sono pazzi. Mi alzai di scatto e non risposi. Guardai lei che continuava a sorridere.

“State scherzando?” dissi, non riuscii a controllare la mia voce, tremula e strozzata.

“No,” disse lui “altrimenti non ti avremmo fatto venire qui.”

Non sorrideva più ora e aveva una mano sul pacco. Mi disgustava. La donna si allungò sul tavolo e poggiò la sua piccola mano sull’inguine.

Mi spostai di scatto. “Non voglio,” dissi, “fottetevi!”. Rimasi per un attimo in piedi, guardai lei che sembrò delusa. Riusciva a guardarmi negli occhi ora.

Lui si alzò repentino poi, mi prese le braccia e stringendo mi immobilizzò. Provai a scalciare, ma riuscii solo a buttare una sedia per terra. Stringeva forte e mi mancava il fiato. Avrei potuto urlare, ma non lo feci. Lei alzò comunque il volume della televisione. Mentre lui stringendo sempre più forte mi fece sedere, lei mi sorrise dicendo “Non preoccuparti, ci divertiremo”.

Io continuavo a muovere il busto, ma troppo forti erano le braccia che mi stringevano.

Avevo paura ma non urlavo. Ora non riuscivo nemmeno a parlare, aprivo la bocca ed ero impotente, come quando nei sogni non riesci ad agire.

“Stai tranquillo”, disse lei inginocchiandosi, avvicinandosi a me, sbottonandomi i pantaloni.

Mi abbassò i pantaloni, le mutande, “Eccolo qui.” disse, e cominciò a leccarmi il cazzo.

“Non vogliamo farti del male”, disse l’uomo, tornando al tono tranquillo di prima. Un tono inquietante e tranquillo.

Si fece duro, e lei cominciò a succhiare. Mi accarezzava le gambe e succhiava. Mi guardava talvolta, sembrava sorridesse. Il marito poi mi lasciò, improvvisamente. Accese una sigaretta e prese a guardarci, infilando una mano nei pantaloni. “Che cazzo fai?”, sussurrai ansimando.

“Stai zitto ora!”, mi disse, con una voce diversa da quella che avevo sentito fino a quel momento. Una voce viscida e dura. Lei poi si staccò da me, lasciandomi sulla sedia col cazzo ritto. Mi sentii nudo e imbarazzato. Avrei voluto coprirmi ma rimasi lì. Immobile.

L’uomo continuava ad armeggiare col suo cazzo, sembrava impaziente e ansioso.

Lei si alzò, si sfilò il vestito e la biancheria. Rimase nuda. Sembrava una bambina.

Si sedette per terra, supina, con due dita tra le gambe.

Mi guardò, sorrise lasciva. “Scopami ora.”, disse secca e languida.

Io non dissi niente.

Mi inginocchia. Mi stesi su di lei, che prese il cazzo tra le mani e lo infilò dentro.

Cominciai a muovermi, lei ad ansimare, ma i suoi gemiti erano troppo marcati, troppo intensi, allora pensai che stesse fingendo. Ne fui sicuro quando con la coda dell’occhio vidi che lui si alzò a prese a guardarci, ormai senza più le mutande, che se lo sbatteva cercando di farselo venire duro.

Anche lei lo vide, e quasi strillava.

Mi stringeva e sentivo le sue unghia nella schiena.

“Sbattimi, sbattimi forte”, prese a dire chiudendo gli occhi.

“Sbattimi, sbattimi, stronzo”, ed io la sbattevo e sentivo il freddo delle mattonelle sulle gambe. Abbassai la testa tra una spalla e il collo, sentendo l’odore dei suoi capelli e chiudendo gli occhi.

Sentii una mano sulla spalla poi, che mi tirava. “Spostati ora, in fretta!”, disse lui, mentre continuava a sbatterselo. Mi tirò fuori da lei, la girò e glielo infilò dentro, cominciando a grugnire e dandole forti schiaffi sul culo. Rimasi per qualche istante per terra, sentendo freddo, provando un piacere misto a leggero disgusto.

“Vieni qui, bello,” disse lei,” non è giusto che tu vada via così”.

La raggiunsi guardandola dall’alto. “Inginocchiati,” disse. Ricominciò a succhiarlo, più veloce questa volta.

Intanto l’uomo continuava a grugnire, sembrava soddisfatto ora. Dopo un po’ le venni in bocca.

Sputò a terra quel poco di sperma che le avevo concesso, e con la bocca sporca mi sorrise, mentre cominciava ad ansimare per davvero.

“Vattene ora, e grazie”, disse lui con un filo di voce, continuando a spingere. Mi alzai i pantaloni e mi allontanai veloce. Prima di uscire li guardai. Li guardai mentre scopavano, e mi fecero schifo. E mi feci schifo anch’io sentendomi sporco e eccitato.

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