martedì 7 settembre 2010

Da "Diaro di un trasandato" (prima)

…..Ero con Nic, eravamo al porto. Una bottiglia di Rum e molte parole da spendere. Mario aveva qualche bicchierino, di vetro, molto appropriato. Al quarto bicchiere ridevamo del più e del meno, ridevamo per nascondere il dolore, per nascondere i cocci di una vita poco affettuosa. Si avevamo il cibo, si avevamo modo di esprimerci, ogni tanto avevamo anche qualcosa da fare, per non trovarci sempre a tu per tu con il nulla. Ma ci mancava tutto il resto. Maledetta angoscia che non viene via, maledette cose tanto importanti da fare, maledetta forza d’animo e volontà che ci abbandona nel momento del bisogno. Quello che dobbiamo fare a noi non piace, a me fa schifo, ma io avevo bisogno di cibo e di un qualche cazzo di modo per potermi esprimere. Trovare il mio posto nel grande cerchio dello squallore, questo dovevo fare. Ma non riuscivo, i test universitari sono andati, ho perso un anno, o almeno non lo sfrutterò a dovere. Non mi piace ciò che dovrebbe essere la decenza, questo vivere tra sciacalli e volpi, non mi va di navigare in un mare di merda. Non mi va, ma devo. Allora io bevo sul porto. Bevo perché bere fa male, perché la vita fa male, anche se finisce, e finirà prima o poi, con le lacrime o con il sorriso. Bevo con Nic l’aspirante scrittore, bevo con Mario e i suoi dolori esistenziali, bevo e brindo alle spine che ho sulla coscienza. Bevo per la mia donna, che si perde tra isterie e frustazioni, eternamente scontenta. Bevo perché è come me, ma non vuole ammetterlo. Bevo perché ho perso mio padre, quando il suo cuore ingrato decise di rovinare quel poco di vita che avevo costruito, con un po’ di allegria e un diploma che doveva essere abbastanza decente. Decente, come la vita che dovevo vivere. Al quarto bicchiere ridevo, al sesto piangevo, al nono iniziai a vomitare decenza insieme agli altri. E insieme agli altri, maledivo le mie dannate sventure. Poi il collasso, ricordi sfocati e gocce di delirio che piovevano dal cielo. Mi ritrovai a casa con la televisione accesa, alle quattro di notte, con un dolore lancinante allo stomaco.

Giò

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