lunedì 6 settembre 2010

Cazzo è sabato! Andiamo a far baldoria!

Abbiamo brindato per dimenticare.
Poggiati a degli scogli troppo scomodi.
Il solito mare ci guardava imprecando sottovoce.
Nessuna Luna in cielo.
Qualche stella sbiadita e niente più.
Sulla sinistra,
la città vecchia e abbandonata ricordava le nostre macerie.
Quello che era un bruciore soffocante
al secondo sorso è diventato un tiepido rassicurante languore.
Nei vostri occhi ho visto me, amici miei.
Mentre ingoiavate buttando la testa all'indetro,
lasciando che il livello si abbassasse veloce.

Non preoccuparti, tra un po' avrai dimenticato tutto.

Poi l'ebrezza e il riso spasmodico l'abbraccio e l'abbandono.
Tutto
improvvisamente
mi è sembrato meno importante di quanto fosse in realtà.
Persino il mio corpo.
C'era penombra intorno a noi,
poco lontano luci bianche plastiche illuminavano il parcheggio improvvisato
uomini e donne si tenevano per mano.
Ragazzi scavalcavano i nostri corpi abbandonati
avviandosi verso un buio di preservativi scartati.
Scavalcavano i nostri corpi intuendo
che quella non era la consueta finta ubriachezza
della nostra generazione.

Tesoro guarda quelli, perchè bevono e non ridono?



Poi,
improvviso
un pianto.


Tutto ciò che dovevamo dimenticare
si era fatto vivido
e presente.

La morte e il nulla ci hanno avvolto.
E ne abbiamo pianto.
Abbracciandoci vibrando di un dolore più forte.

Mi sono alzato.
Sognando di saltare su quegli scogli
di affondare in quel mare buio.
Mi sono abbandonato
ad uno scoglio
sperando che potesse darmi
amore
mi sono steso piangendo
sperando di svanire in fretta
ma solo le mie lacrime ho sentito.
E delle braccia deboli quanto le mie
che mi rialzavano
in un abbraccio solidale fraterno
unto dallo stesso vuoto.

Non ce la faccio.
Non ce la faccio.

Abbiamo portato allo scoperto
quella morte che tutti ignorano
e ci siamo persi.

Non c'è niente che sia giusto, ti dico.


Tu c'eri ricordi gli spasimi ricordi?

Immagini che ho provato a cancellare
ma ancora vive rievocate.

Poi,
la testa tra le braccia,
i piedi larghi per non lasciare tracce.
Ho cercato di vomitare tutto il male.
Ma non ho trovato tregua.
Ho provato a rialzarmi.
Non ce l'ho fatta.

Non era solo il camminare a non essermi concesso.

Andiamocene, vi prego.
Ho bisogno di dormire.

Mi hanno aiutato a camminare
spalle più sobrie delle mie.

Siamo passati in mezzo alla gente
in mezzo ad un nulla mascherato
da giovanile gioia di vivere.
In dei vicoli bui
tutti ridevano guardandosi intorno
mostrando
volti abbronzati felici.
Tutti ridevano mentre cadevano in una spirale che finisce nel nulla.
Tanta menzogna mi ha disgustato.
Mai sono stato così lucido.
Ho abbandonato la mia consueta indifferenza
sputando in faccia ai miei coetanei.

Non ridete, state morendo, stronzi.
Mi fate schifo.


Tutti ridevano mentre urlavo il mio disprezzo.
Ridevano di me stavolta.
Non sono riuscito nemmeno a farmi picchiare
a rimanere nel fango
le labbra bagnate dal mio sangue.
Nemmeno gli insulti scalfiscono questa suprema
indifferenza.
Questa orribile maschera di sicurezza.
Allora per sentire
ho dato un calcio ad un palo
desiderando che tutti potessero morire
e capire.

Poi uomini e donne nelle auto
ragazzi in strada
sorrisi parole rumore il Caos
tutto mi è sembrato infinitamente stupido.
Ho cominciato a ridere di un riso disperato che sembrava un pianto.
Non ce l'ho più fatta poi.
In macchina mi sono abbandonato al buio dei miei occhi chiusi.
- Come puzziamo.-
- Sì, noi puzziamo, almeno.-
 



Ho sognato stanotte.
Ero in un bagno spoglio.
Un uomo iniettava eroina ad una donna emozionata
che si poggiava poi con la testa ad un muro
orgasmo in corso
la bocca aperta
gli occhi vitrei.
La stanza illuminata artificialmente
l'uomo dal volto crudo
come un quadro fatto male.
Ho visto Lei che
improvvisamente
mi chiedeva di sposarla
rendendomi inadeguato.
Lo stesso edificio poi.
Tutti erano in maschera.
E si ammazzavano,
lasciando macchie di sangue sui muri.
Io mi nascondevo
passando sui cadaveri
il volto trasfigurato coperto
da una maschera brillante.
Mi nascondevo
mentre sentivo gli spari
e la morte.
Arrivo in una stanza alla fine.
Una stanza vuota.
In fondo delle maschere in fila
come di terracotta
e degli oggetti.
Delle persone stavano scegliendo la maschera più adatta a loro.
Mi avvicino alle maschere.
Le studio, una ad una.
Devo sceglierne una.
Ma non ci riesco,
nessuna è adatta a me.
Mi volto allora.
C'è un monile appeso ad un gancio
come vetro di Murano.
Lo prendo e c'è mio padre.
- Cosa fai? Non puoi rubarlo.-
C'è anche una ragazza,
i capelli ricci eyeliner nero.
- E' per te.- dico.
Un suo sorriso.

Poi il nulla.

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